IL FLUMEN " IN CASTRO CORVARIE ", RICORDATO
DA BARTOLOMEO DA PISA, E IL CARAMANNA
San Francesco e Corvaro

Autore: GIOVANNI MACERONI

Argomenti correlati: 1) Castello di Corvaro; 2) Madonna delle Grazie.

Il Borgo Antico di Corvaro e la Rocca con la neve
Corvaro: Il borgo medioevale

In un'opera precedente il D'Antonio, con un linguaggio giornalistico apparentemente pacifico, moderato ed emolliente, ma non privo di polemica e di ironia, si era cimentato nell'individuare i tempi e i luoghi dei viaggi di San Francesco in Abruzzo, suscitando nei lettori entusiasmo ma non poche riserve e, a volte, anche stizza. Luigi Pellegrini così commenta tale opera: " L'autore si sforza di ricostruire i due viaggi di San Francesco in Abruzzo, distinguendo ciò che è sicuro, da ciò che è meramente ipotetico in un prospetto che appare senz'altro utile, ma che meriterebbe ben altre letture e revisioni critiche".

Il D'Antonio, anche nel nostro Convegno, è tornato sullo stesso argomento, specificatamente su Corvaro e sul Cicolano, ma più che per risolvere per porre problemi, con vivacità originale e varietà, intorpidendo con interrogativi intemperanti e ipotesi spregiudicate verità non ancora del tutto chiarite. Vuole risposte perentoriamente esatte, ma la storia, pur adoperando metodi scientifici, non sempre riesce ad illuminare e non sempre può ricomporre, soprattutto nei dettagli, ogni evento del passato.

Tra le tante richieste ne fa una ben precisa: " A lei, Prof. Maceroni, la consegna d'indagine nel patrio loco: corografia la più antica possibile di Corvaro, esistenza e ubicazione del "torrentello" nei pressi di San Francesco Vecchio, l'identificazione del detto Corvaro col Corvaro abruzzese ".

In un precedente studio ci siamo già soffermati a lungo sulla descrizione corografica di

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Corvaro dall' Alto Medioevo al sec. XIV, alla quale ora vengono aggiunte poche note significative ai fini di questa richiesta.
Corvaro, al tempo di San Francesco, era tutto racchiuso su un colle, a Nord dell'altopiano del Cammarone e sulle ultime propaggini del monte Cava con una potente e minacciosa rocca. I muri di cinta, tuttora visibili, disegnano una forma ellissoidale i cui raggi corrono da est verso ovest. La superficie interna dell'ellissoide abbraccia un'arca interna di circa diecimila metri quadrati. Vi erano quattro torri di cinta a pianta circolare, situate tutte nel lato est.

Al centro delle quattro torri si trova Porta Calata, ingresso principale al castello. " Le altre porte erano così dislocate: Porta di Capolaterra, nelle immediate vicinanze della Rocca, nel lato est; Porta Cautu a sud-ovest, vicinissima al palazzo "Ascensone", Porta di Piazza a nord-ovest di Piazza Regina Margherita; Porta Valle-Riu, ad ovest della rocca nei pressi di Fonte Vecchia " (4).

Ai tempi di San Francesco non esistevano i quartieri di Cimitore, a sud-est della rocca, e di Valle Riu a nord-ovest dell'omonima porta, che furono iniziati a costruire tra la fine del '300 e l'inizio del '400.

Da porta Capolaterra, a ridosso delle mura del castello, si snoda un camminamento, delimitato dall'aia e quissi Giuvannitiu con mura poligonali, che conduce a Ratarocca fino a colle Petrocco, a nord della rocca, ove sono visibili i resti ben conservati di un fortilizio con feritoie occulte per il controllo, a fini difensivi, dell'ultima parte del torrente Caramanna che in quel punto oggi si chiama Iscia perché scorre su roccia levigata, ripida e scivolosa. A nord dell'aia e quissi Mínnella, quasi a meta strada dal castello alla torretta suddetta nella località Riviglini, si trovano i resti di un' altra torretta di avvistamento. Ad ovest della rocca di porta Valle Riu e dell'ultima tratto (Iscia) del torrente Caramanna, lungo il quartiere tre-quattrocentesco, si snoda un altro camminamento medioevale che, all'altezza dell'aia e quissi Raicione delimitato da mura poligonali miste a medioevali, si biforca in due camrninamenti più piccoli di cui quello più ad ovest conduce, per la via di Sotto, fine alla località Costa della Croce e l'altro, attraverso la località Canneto-sud tra il primo camminamento e il torrente Caramanna, arriva alla località Iscia fino a ricongiungersi alla via di Sopra e partendo da Capolaterra parimenti conduce alla località Costa della Croce; in mezzo a questi due camminamenti, di cui quello che costeggia il torrente manifesta ancora i segni del selciato

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medioevale, si notano a ripetizione torrette di guarnigione al castello.

Ai tempi di San Francesco, nel territorio di Corvaro si trovavano due centri principali per il culto, la chiesa di Santa Caterina, al centro del Castello medioevale, e ad est, a circa un miglio dal Castello all'imbocco di Valle Amara, la chiesa benedettina di Sant'Angelo e due centri minori la chiesa di Santa Maria che tra la fine del '400 e l'inizio del '500 verrà ingrandita, e il centro benedettino di San Sebastiano(8), ubicato a sud-est dell'attuale Convento di San Francesco Vecchio nella zona di Sant'Erasto, come corte con un raggruppamento di case coloniche e la chiesa per le funzioni religiose.

Riguardo al rapporto uomo-ambiente il centro propulsore si trovava prevalentemente nell'altopiano del Cammarone per l'agricoltura, e per le attività zootecniche alle pendici dei monti della Duchessa e di Cava e nella valle di Malito. L'allevamento più rilevante doveva essere quello dei maiali che si potevano cibare di ghiande e di castagne dei ricchi boschi.

Il Cammarone, oggi quasi del tutto privo d'acqua, nel periodo preromano doveva essere solcato da grossi torrenti, come appare da letti di fiumi poi disseccati per movimenti tellurici, disperdentisi nel sottosuolo; avanzi di acquedotti si trovano un po' ovunque; si notano inoltre ben sei doline tutte sulla stessa direzione.

Un torrente partiva dalla località Cerreta e attraversava Valle Terzana, Sant'Erasmo, le Laquile fino a Collefegato e alla valle di Borgorose; un altro da Valle del Cieco, attraverso il fosso della Piletta, Valle Amara e Valle - Riale si ricongiungeva con il precedente a Colle- fegato. Il torrente più grande di Corvaro, il Caramanna, parte da Fonte dei Copelli, a circa 1350 metri di quota fino ad arrivare a Fonte Vecchia, a circa 850 metri con un dislivello medio di 500 metri; il dislivello, durante i temporali e il disgelo, aumenta sensibilmente fino a raggiungere il 1150 metri, con notevole forza d'urto, radunandosi l'acqua da Montecocuruzzo (1794 metri), Monte Cava (2000 metri), Monte Rotondo (1993 metri), attraverso luoghi privi di vegetazione, fino a trasformare in un immenso fiume l'intera località di Caramanna

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Raccoglie inoltre le acque dei fossi Caramanno, Caramagna, Orsolino, Prata, Peschioli, Riacciolo, Canneto, e quelle degli impluvi delle località Baccile, Carpineto, Costa della Croce, Pescatello, Asospesa e Riviglini. I molti fossi in diversi punti deviano dai loro letti e, attraverso terreni coltivati e prati, si vanno a ricongiungere ai fossi successivi. Arrivato a Fonte Vecchia ad ovest della Porta di Valle Riu e di qui attraverso diversi ponti, forse opera dei Benedettini, il Caramanna si va a ricongiungere, con tutti gli altri torrenti del Cammarone, nella località Collefegato continuando il tragitto per Ponte dell'Ospedale fino al torrente Apa e quindi al fiume Salto. Il tragitto è intercalato da varie cascate e cascatelle, alcune anche di notevole salto raggiungendo circa 15 metri soprattutto nel passaggio dalla località Caramanna a quella di Canneto- sud, e dalla località Iscia ai Riviglini. La portata d'acqua cresce incanalandosi, da vero fiume, in unico alveo man mano che si avvia verso la porta di Valle Riu tanto che, quando sopraggiungono i temporali, rigonfiata fuoriesce improvvisamente dal suo letto con il rischio di travolgere bestie, cose e animali. L'8 maggio, in uno degli anni del terzo lustro del 1900, il giovinetto Celestino Volpe trovandosi nei pressi del ponte dell'aia e quissi e Cascioio, a circa un centinaio di metri da Porta Valle Riu, fu improvvisamente travolto dalle onde e trasportato, spinto sotto i ponti, per quasi un chilometro.

Intorno al 1970 il torrentaccio fu incanalato, a partire dagli ultimi lembi del Riviglini fin fuori l'attuale quartiere di Via San Francesco, e dove prima costeggiava l'aia e quissi e Cascioio ora si trova una strada ricoperta da un manto d'asfalto. Anche oggi, soprattutto quando sopraggiungono i forti temporali, bisogna fare molta attenzione per non essere travolti dalle acque e in due punti della località Iscia, il primo a nord di Colle Petrocco, a pochi metri da Pozzo Cavalero, e il secondo nell'incrocio della mulattiera di Costa della Croce conducente verso la rocca, nei pressi del fosso Canneto, quando il torrente è rigonfio si devono fermare sia gli uomini sia gli animali per non essere travolti.

L'unico vero torrente di una certa rilevanza, tra quelli intorno a Corvaro, è solo il Caramanna ed è anche il solo che porta acqua per quasi tutto l'anno originandosi da più sorgenti perenni e che ha dato il nome al quartiere tre-quattrocentesco di Valle-Riu.

Bartolomeo da Pisa nell'opera Liber Conformitatum, scritta intorno al 1385, narra che " In castro Corvarie quendam fratrem de penitentia ministrum ipsorum portantem ova fratribus:

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in transitu cuiusdam fluminis qui preter solitum excreverat: undique aquis obrutum: et per spacium fluminis sic deductum: invocantem beatum Franciscum: ad ripam illesum cum calato et ovis perduxit "(9). (Avvenne che nel castello di Corvaro un certo frate di penitenza ministro degli stessi portante uova ai frati: nel passaggio di un certo fiume che era cresciuto oltre l'usuale: sopraffatto da ogni parte dalle acque: e così tirato giu per lo spazio del fiume: invocante il beato Francesco: pervenne illeso alla riva con il paniere e le uova).

In base al contesto dell'opera in cui è inserito l'avvenimento e per la derivazione del Liber del Pisano dagli scritti di " fr. Ruffino Bengarmi, dichiarato compagno dei compagni di San Francesco, quindi del sec. XIII, e abitante in Assisi, a Santa Maria degli Angeli" (l0)., possiamo affermare con certezza che l'episodio dell'anonimo ministro salvato dal vortice delle acque del Caramanna avvenne vivente l'Assisiate. La descrizione minuta del fatto denota che il Bengarmi aveva ricevuto la notizia se non dall'interessato almeno da testimoni oculari o che conoscevano per esperienza personale il regime del flumen in castro Corvarie.

Il flumen non può essere che l'attuale Caramanna che in tempi di piena abbraccia lo spazio da Pescatello al fosso di Prata formando un unico letto nei pressi di porta Valle Riu. Il " torrentello" non poteva trovarsi nei pressi di San Francesco Vecchio, come vorrebbe far supporre il D'Antonio perché in quei paraggi non esiste e non e mai esistito, e neppure poteva essere il " torrentello " che attraversa Valle Amara, come vorrebbe dimostrare il De Michele ", perché il torrente che parte da Valle del Cieco ha una certa violenza solo fino al Colle Mozzoni e da quella località le acque incontrano un terreno ampio e friabile; tale ampiezza e friabilità aumentano man mano che il torrente si avvicina al luogo dove sorgeva la chiesa benedettina di Sant'Angelo e se talora lo oltrapassa, sopraggiungendo anche le acque del laghetto della Duchessa, attraverso un cunicolo sotterraneo, si disperde nell'ampio altopiano del Cammarone. Il ministro del Terz'Ordine di Corvaro per recarsi a San Francesco Vecchio, con tutta probabilità, dovette uscire dal paese per porta Valle Riu e in quei pressi fu

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sopraffatto dal passaggio improvviso del Caramanna; ciò suonerebbe anche più aderente all'espressione " in Castro Corvarie ".

Dopo aver accertato l'esistenza e l'ubicazione esatta del flumen in Castro Corvarie è ovvia l'identificazione del Corvaro di Borgorose posto in provincia di Rieti con il Corvaro abruzzese.

È noto a tutti gli studiosi, almeno dell'arca sabino-abruzzese, che CORVARO ai tempi di San Francesco facesse parte del Regno delle due Sicilie e quindi dell'Abruzzo (12). In Italia si registrano vari paesi e toponimi che portano il nome Corvaro, Corbaro, Corvara, tra i quali il nostro Corvaro: Corvara in Badia-Kurfar (Bolzano), Corbara (Salerno), Corvara (Pescara) e Corbara (Terni), ma nessuno ha attinenza con il primitivo movimento francescano. Che si tratti solo ed esclusivamente del Corvaro di Borgorose è confermato anche dall'esistenza, a Corvaro, di un flumen con le caratteristiche descritte dal Pisano, mentre il paese conferma il flumen.

Il Chiappini (13), nella ricerca L'Abruzzo Francescano nel Secolo XIII, afferma testualmente: " Non trovo difficoltà di identificare questo anonimo Ministro del Terz'Ordine col Ministro dei Terziari Bartolomeo Barone ricordato dalle antiche leggende francescane donde traduco letteralmente. "Nell'anno del Signore 1222 fu in Italia un certo uomo chiamato Bartolomeo, il quale udita la fama del beato Francesco diffusa in ogni intorno dietro la di lui predicazione, lasciò il foro e militò sotto l'abito e la regola del Terz'Ordine, facendo frutti degni di penitenza. E contrasse tanta familiarità coi beato Francesco, che questi gli accordò la podesta di ricevere all'Ordine i fratelli "(14).

Allo stato attuale delle ricerche e pressoché impossibile identificare questo Bartolomeo con il ministro dei Terz'Ordine di Corvaro perché le fonte francescane, finora note , descrivono diversi distinti personaggi con questo nome, ma per molti versi, interdipendenti, il Bughetti, a cui si rimanda in nota (omissis) per non appesantire la trattazione

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ne riporta sei versioni attinte direttamente dalle fonti più antiche francescane con particolare riguardo al codice Universitario di Bologna, n. 2697. Alcuni autori sembrano riferirsi a una antica legenda, non meglio precisata e ne è riprova il Bartolomeo a cui il Wadding aggiunge Baro, dandoci l'impressione che il noto francescanologo compia un mescolamento delle versioni precedenti con un'altra fonte da noi ancora non conosciuta. Non ci sembra appropriato tradurre Bartholomeus Baro con Bartolomeo Barone, come se Barone fosse il cognome di Bartolomeo perché nel Medioevo per distinguere il nome proprio si aggiungeva il patronimico; il Baro, in questo caso, forse indica solo la classe sociale di appartenenza.

Non è mai Corvaro il luogo d'azione di un Bartolomeo dei tanti delle fonti conosciute ma è o " Massa Trabaria " o " Romagna " o " tra le Alpi di Gubbio e Massa Trabaria " o infine " Bologna e Ravenna "; il personaggio di questi ultimi due luoghi non sembra essere coevo di San Francesco ma del 1300.

Non siamo in grado, al momento, di respingere l'identificazione operata dal Chiappini dell'anonimo Ministro di Penitenza di Corvaro con Bartolomeo amico di San Francesco, pur apparendoci troppo imprecisata l'espressione Anno Domini 1222 fuit in Italia vir quidam, Barthlomeus nomine in quanto non siamo a conoscenza di una o più fonti denominate genericamente Legenda antiqua.

Nel menzionato nostro lavoro avendo già provato, sulla fede del Leagendarío Francescano, che il primo monastero " di monache francescane nell'Abruzzo fu quello della Beata Filippa Mareri in Borgo San Pietro, paese non distante da Corvaro, ci radichiamo ancora di più nel ritenere valida l'istituzione dei Terz'Ordine a Corvaro diret-

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Il Campanile quattrocentesco rimasto in piedi dopo il terremoto del 1915
Il maestoso campanile della chiesa tre-quattrocentesca di Santa Maria

tamente da parte di San Francesco. Non si potrebbe spiegare in maniera diversa la grande tradizione francescana primitiva, in questi due centri, senza la presenza della santità della Beata Filippa Mareri e senza la familiarità di San Francesco con il popolo di Corvaro. Filippa Mareri e l'anonimo ministro del Terz'Ordine hanno tutto il profumo e la forza di chi è stato in contatto personale e diretto con l'iniziatore del più grande movimento riformistico cristiano del Medioevo.

Poche volte i primi agiografi francescani nominano espressamente i paesi visitati dal Santo, soffermandosi piuttosto in espressioni generiche come quella del documento del 1222 che afferma: "in ogni intorno" era "diffusa" "la predicazione" del beato Francesco; e già molto significativo che Corvaro venga nominato nel documento, che riguarda il ministro caduto nel "flumen", riferentesi al tempo in cui l'Assisiate era ancora in vita con l'espressione "in castro Corvarie", segno evidente di un buon rapporto personale del Santo con il paese, rapporto che non si può avere con un solo e fugace passaggio.

La identificazione del flumen con il torrente Caramanna ci conferma nella convinzione dell'esistenza del Terz'Ordine francescano a Corvaro, vivente il Santo; quanto poi alla quasi esclusione della identificazione del ministro con Bartolomeo Barone siamo arrivati, se non a conclusioni definitive, a un avviamento risolutivo almeno fino a che non vengano scoperte altre fonti.

Il D'Antonio, nei confronti del Chiappini, cade nell'abbaglio di coloro che vogliono esaltare troppo sminuendo il valore dell'esaltato.

Trovandoci recentemente, con alcuni amici a visitare gli scavi dell'antica città, di Alba Fucens, ascoltammo con molto interesse la guida, la quale ci informò della decisione delle autorità competenti di non permettere ulteriormente gli scavi ai Belgi perché costoro usando la ruspa, anziché il piccone e la pala, più che riscoprire l'antica città stavano demolendo; la ruspa aveva mandato in frantumi più di una statua, sepolta tra le macerie.

Le nostre vogliono essere solo delle osservazioni di natura dialettica e non di carattere polemico perché mentre la dialettica indica sforzo sofferto alla ricerca della verità, la polemica conduce inevitabilmente alle astiosità, alle contrapposizioni, alle insinuazioni accusatorie e alle rotture, cose tutte nemiche della storia.

Con il D'Antonio vogliamo solo la verità storica.

Antonio D'Antonio riferendosi all'opera di Aniceto Chiappini, "Le falsificazioni del P. Nicolo da Guardiagrele" e la storiografia abruzzese,

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la definisce "Uno studio breve, ma esauriente per demolire e livellare come un "bulldozer" tanti secoli di credulità storiche. Il "barbarismo" esprime quasi plasticamente quella estrema forza che permise al P. Chiappini di ergersi contro tutto e tutti. In italiano si direbbe meno significativamente "Ruspa" " 17.

Il Chiappini, in verità, si schiero solamente contro quanto ritenne falso e cercò di demolire le opinioni di coloro che riteneva avessero errato; non fu sempre "bulldozer" o "ruspa" ma spesso seppe usare, da vero storico, anche la zappa e la pala perché era cosciente che la storia, frutto del disegno divino e della volontà umana, non si trova su un piano liscio e ben levigato; che non tutto si può provare con il solo documento scritto (sarebbe troppo facile!) e che la ricostruzione del passato avviene anche attraverso indizi e confronti. Non sempre i protagonisti e gli osservatori sono coscienti di trovarsi di fronte ad avvenimenti di portata storica e quindi non ritengono opportuno scriverli. Si aggiunga che il Capitolo generale dei Minori, tenuto a Parigi nel 1266 "ordino la distruzione di tutti gli antichi testi biografici e liturgici" "per l'esigenza di un testo unico che mettesse in risalto le virtù del Santo e "lasciasse in ombra quanto allora era oggetto di controversie tra i Minori" 19.

Il D'Antonio, al termine della relazione, esprime le sue " Conclusioni personali" facendo la seguente premessa "[...] desideriamo esternare la verità dal nostro punto di angolazione, sempre pronti a riconoscere il nostro errore alla luce di un qualche documento o della critica costruttiva". Lo studioso sembra non tener conto della caducità delle realizzazioni umane: "[...]; e involve

tutte cose l'oblio nella sua notte;
à una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe e
l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il Tempo.

Corvaro, posto in una zona fortemente sismica, conserva intatte solo poche ma significative vestigia francescane connesse alla presenza del santo.

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La relazione del D'Antonio non è stata deludente, anche se ci appare incauta e affrettata tanto da darci l'impressione di voler abbattere tutto fino ad arrivare a conculcare, insieme alle cose incerte, verità storiche certe che specificheremo in appresso. Permettere l'abbattimento indiscriminato significherebbe aggrovigliare ulteriormente la confusa matassa scardinando processi di verifica e di ricerca in corso, anche se gli interrogativi del D'Antonio, carichi di dubbi, non sono un passo indietro nella ricerca della verità, ma solo un passo di lato.

A questo punto sono opportune delle precisazioni circa la chiesa e il Convento di San Francesco Vecchio, e i vari traslochi e le vicende del Cappuccio donato dal Serafico ai Corvaresi.

La chiesa e il convento di San Francesco Vecchio manifestano tutte le caratteristiche del tardo-gotico italiano, misto al romanico; tali caratteristiche si riscontrano, più o meno accentuatamente, in tutte le chiese primitive francescane e anche in quelle volute (21) da frate Elia, come la basilica di Assisi, iniziata nel 1228, e la chiesa di San Francesco a Cortona, iniziata nel 1245.

La chiesa di San Francesco Vecchio di Corvaro, a tribuna coperta, pur nei molteplici rifacimenti, delle origini rivela ancora il rosone, le alte monofore, i conci squadrati della facciata, l'arco trionfale che divide il presbitèrio dall'area destinata al popolo e l'antico coro (attuale sagrestia) coperto a crociera con costoloni.

Originariamente la chiesa era fornita di un altare a forma di T, con le dimensioni di 90 centimetri di altezza, 100 di larghezza e 140 di lunghezza, che forse in occasione di un terremoto fu accantonato a piano terra in una delle sale della prima sezione del Convento attiguo alla sagrestia; nella Pasqua del 1965 fu trasportato, per iniziativa del parroco Don Daniele Muzi, nella Chiesa di San Francesco in Corvaro per sostituire ai fini delle nuove esigenze liturgiche, la parte anteriore del vecchio altare del 1927-28 fatto ricostruire dopo il terremoto del 13 gennaio 1915, su uno più antico insieme al restauro del tempio dall'allora parroco Don Filippo Ortenzi. L'altare a forma di T fu riconsacrato dal vescovo di Rieti, Monsignor Nicola Cavanna, l'11 agosto 1968.

In una delle ricostruzioni della chiesa di San Francesco Vecchio dei primi del '600, con ogni probabilità, si dovette costruire in luogo

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del precedente a forma di T, l'attuale altare, poi restaurato negli anni 1979-80; al centro della sua facciata si trova una nicchia, con una porticina di legno perduta durante gli ultimi restauri, che portava dipinto il simbolo francescano del braccio di Cristo incrociato a quello di San Francesco, nella quale dovette essere custodito il cappuccio fin verso il 1640.

Non ci è consentito sapere se lungo le alte e lisce pareti fossero stati fatti affreschi e costruiti altari perché si e potuto osservare, durante l'ultimo restauro del tetto del 1979-80 che la chiesa è stata alquanto ristretta perché ai muri esterni ne sono stati addossati altri due interni per rinforzare i primi. Forse il sostegno fu posto in uno dei due restauri, o del 1839 o del 1933; questi lavori sono ricordati da due lapidi delle quali la prima è nel pavimento e la seconda è sopra l'altare maggiore e dice: "Il popolo di Corvaro restaurava questo caro ricordo di San Francesco l'anno santo 1933".

L'intero complesso della chiesa e del convento abbraccia un perimetro notevole di circa metri 90 per 110, con il lato più breve nella direzione della facciata della chiesa, raggiungendo un'area di quasi diecimila metri quadrati, estesa quanto l'intero castello medioevale di Corvaro.

Il portale della chiesa non è al centro del muro di cinta ma spostato a sud; al centro invece è ubicato un arco di ingresso e la pietra che congiungeva in alto i due bracci, fino a circa 20 anni fa prima che l'arco fosse quasi completamente distrutto, portava scolpito il monogramma bernardiniano IHS che è frequente nei portali delle abitazioni all'interno del castello medioevale di Corvaro; un altro simile si trovava sulla pietra sovrastante l'arco dell'ingresso opposto.

Il muro nord-est del recinto del convento ai punti estremi presenta due costruzioni dirute del XIII secolo e in mezzo diversi fabbricati forse del XVIII secolo. Nello spazio mediano, in corrispondenza dei due ingressi, vi è una grande cisterna ,ben conservata, con acqua. Nel lato sud della chiesa, dove ora è una vigna, si trovava il cimitero dei frati; i signori Di Rocco, attuali proprietari, quando fecero lo scasso per piantare la vigna rinvennero numerosi teschi ed ossa. Dalle fondamenta di questo lato della chiesa parte, in direzione sud, più di un grosso muro che fa pensare ad altre costruzioni. A nord del muro di sinistra della chiesa e a sud-est dell'ingresso principale del convento si trova un'altra vigna, delimitata da uno spazio

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quadrato assumente la forma di un chiostro con un'altra bella cisterna fornita di acqua; tra la chiesa e il convento c'è una scala che scende in questa zona. Nel lato est del convento, attaccato alla chiesa, si trova uno spazio vuoto e di fronte resti di muri, divisi in stanze dove dovevano trovarsi le celle dei frati. A sud di questa costruzione si nota ancora uno spazio delimitato da muri della stessa ampiezza del cimitero dei frati a cui, dallo spazio vuoto, si accedeva tramite un ingresso ad arco.

L'intero complesso fa pensare al progetto di un grande architetto e non è improbabile, come vuole una radicata tradizione, che sia stato proprio frate Elia a dare le idee, a fissare le linee e a illustrare la forma. Si può presumere, stando (23) agli storici Cervone, D'Agostino, Falconio, Ricotti nonché al Colagreco che il Convento di San Francesco Vecchio visse un suo periodo di splendore fino alle soglie del '400.

È impossibile, come del resto per tutti i primitivi conventi francescani, fissare una data esatta di fondazione.

Luigi Pellegrini afferma testualmente: "Le fonti relative al primo quindicennio francescano ci forniscono soltanto notizie di carattere generale e generico sul progressivo processo di insediamento dei frati minori. Da esso si può solo genericamente ricostruire il passaggio del processo insediativo attraverso varie fasi da un periodo di nomadismo e di itineranza a forme di stanzia mento e di conventualizzazione, processo che non appare compiuto prima degli anni trenta del secolo XIII".

In questa sede riconfermiamo l'ipotesi, espressa già nel nostro citato studio, che l'istituzione del Convento di San Francesco Vecchio ad opera dei frati minori Pietro e Filippo da Cicoli dovrebbe aggirarsi intorno al 1236. Solo dopo il 1250, per una consuetudine invalsa in tutto l'Ordine Minoritico, i religiosi dovettero trasferirsi nel nuovo convento in Corvaro, dedicato anch'esso a San Francesco. Il chiamare l'antico convento "San Francesco Vecchio ", in contrapposto all'altro convento francescano in Corvaro pure duecentesco, conferma ancora di più la data ipotetica del 1236.

In quest'ultimo convento, fino agli anni 1970, erano ben visibili il luogo del chiostro con la cisterna e le celle dei frati; è stato tutto demolito per la costruzione della piazza dedicata al Serafico e inaugurata in occasione del presente convegno.

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Intorno al 1500 dovette iniziare la crisi per i due conventi; nel 1566 vivevano, a Corvaro, appena un sacerdote e quattro frati laici, tutti del luogo (25).

In quel tempo la dimora fissa dei religiosi doveva essere solo a Corvaro; nel convento di San Francesco Vecchio andavano unicamente a prestare il servizio religioso. Il numero dei frati, con ogni probabilità, non aumento più; si può arguire il quasi abbandono di San Francesco Vecchio che tuttavia dovette conservare il cappuccio. In quella situazione, verso il 1640, fu facile ad alcuni Baresi trafugare l'insigne reliquia, che venne restituita nel 1246 per interessamento del cardinale Colonna come dimostra con atti notarili lo studioso Felice Rossetti nella relazione tenuta in questo Convegno.

I francescani di Corvaro si vennero a trovare nelle condizioni descritte dalla bolla di Innocenzo X, (Istaurandae regularis disciplinae), del 15 ottobre 1652, per la soppressione dei piccoli conventi.

Questi andavano autodistruggendosi sia per la tenuità dei redditi e delle elemosine sia per le difficoltà create dall'inclemenza del clima; i piccoli conventi non potevano ricevere un numero sufficiente di religiosi per il culto divino e gli uffici regolari richiesti dalle norme di ogni Ordine. Viventi in così esiguo numero non erano in condizioni di celebrare in coro l'Ufficio notturno e diurno, né di applicarsi all'orazione mentale e alle riunioni spirituali, agli esercizi e agli studi in comune, né di osservare il silenzio, la clausura, la vita comune e le altre norme; non avendo dinanzi alcuna guida di vita religiosa s'immergevano nell'ozio; incedevano per le città e i luoghi da soli, andavano vagando con i secolari e si tuffavano nei negozi mondani. Avveniva anche che i religiosi disciplinati e di vita provata si rifiutavano d'essere trasferiti in quei conventi; i superiori erano costretti a costituire famiglie con frati di vita sempre più rilassata e licenziosa. Se i religiosi dei piccoli conventi fossero stati trasferiti in Monasteri o in Cenobi di regolare disciplina, con il loro cattivo esempio avrebbero reso più neghittosi anche gli altri, conducendo insensibilmente gli Ordini al disonore e alla rovina. Al Papa apparivano come il fermento che corrompeva tutta la massa, piccole volpi che demolivano le vigne; nel corpo dell'Ordine erano parti totalmente malate ed incapaci di guarire ma disposte a infettare e a contaminare gli elementi

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sani. I piccoli conventi, soprattutto quelli ubicati in luoghi deserti e solitari, erano divenuti rifugio di uomini facinorosi, contumaci o proscritti dalle Curie; per la sacralità del luogo potevano confidare nella immunità e vivere dissolutamente e turpemente; quando uscivano per necessità perpetravano i peggiori delitti con il massimo scandalo del popolo.

Costatato che sarebbe stato inutile ogni tentativo di riforma e che quindi l'unico rimedio salutare sarebbe consistito nel troncarli dalle loro religioni, il Papa, anche perché mosso dalle frequenti rimostranze dei popoli, estingue perpetuamente, sopprime ed abolisce una volta per sempre i piccoli conventi privando i religiosi di tutte le loro dignità, uffici e ministeri; li esime da ogni proprietà, dominio, superiorità e da qualsiasi altro diritto e riduce i ribelli allo stato secolare. Riserva ai superiori la facoltà di asportare da quei luoghi la suppellettile profana ma non la sacra; ingiunge di rimuovere i religiosi di quei conventi e collocarli in altri Monasteri del medesimo Ordine o Congregazione o Società; comanda inoltre agli Ordinari del luogo di scacciare i religiosi refrattari, se fosse necessario con l'aiuto del braccio secolare, e di prendere la cura delle chiese e dei beni dei conventi soppressi; e affinché le chiese non siano defraudate del servizio dovuto ordina ai vescovi di affidarle ad idonei presbiteri diocesani.

Con la soppressione del 1652, poiché il convento di San Francesco Vecchio rimase più abbandonato di prima, il cappuccio dovette essere portato nella chiesa di San Francesco in Corvaro e collocato in un'urna dietro l'altare ove rimase fino al terremoto del 1915. Dopo tale data fu conservato in un'altra urna nell'unica e piccola sagrestia e dal 1968 è gelosamente custodito dietro l'altare a forma di T, sopra il vecchio altare.

Al termine di questa nostra ricerca, per le convergenze dei fatti suesposti, concordiamo con il Chiappini: "La presenza poi dello stesso Serafico Patriarca al Corvaro è testimoniata da un suo cappuccio, lasciato in ricordo al paese, il quale ab immemorabili celebra la festa del Santo nella domenica in albis. Il cappuccio è infatti del tempo ed è conservato dai naturali del luogo quale insigne reliquia".

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Titolo dell'Articolo: IL FLUMEN " IN CASTRO CORVARIE ", RICORDATO DA BARTOLOMEO DA PISA, E IL CARAMANNA
Autore: MONSIGNOR GIOVANNI MACERONI

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